giovedì 28 giugno 2012


L'orto Botanico di Pavia.

L’Orto Botanico pavese si trova nell’attuale sede dagli ultimi decenni del 1700, dopo una complessa sequenza di tentativi per trovare una sede idonea alla coltivazione e all’insegnamento dei semplici nella facoltà medica. La prima cattedra di Botanica fu istituita da Fulgenzio Witman (1763-1773), monaco vallombrosano allievo di Maratta, che insegnò a Pavia dal 1763 al 1773: in questo periodo fu invitato a dare indicazioni per la costruzione di un giardino dei semplici in luoghi diversi dalla sede attuale dell’Orto Botanico.
Fu in particolare il conte Firmian, plenipotenziario degli Asburgo per la Lombardia, che individuò quella che sarebbe diventata la sede definitiva nell’area della chiesa di S. Epifanio, annessa al convento dei Padri Lateranensi. Per la progettazione dell’Orto pavese, già dal 1772 il conte Firmian suggeriva alle autorità di assumere come modello l’Orto dei semplici di Padova e di ricorrere in particolare all’esperienza di G. Marsili, che allora lo dirigeva. Costui inviò infatti una relazione in cui venivano indicate le caratteristiche di un orto destinato all’insegnamento. Le autorità di Milano, sede del Vicerè austriaco, ebbero anche una pianta del giardino di Schönbrunn, allora diretto da Jaquin, e una del giardino di Vienna.
Nel 1773 i lavori per la realizzazione dell’Orto erano già avviati e nel 1774 venne insediato nell’edificio il Laboratorio di Chimica. Secondo la ricostruzione storica fatta da Valerio Giacomini nel 1959, risulta che già nel 1775, sotto la direzione di Valentino Brusati (1773-1777) e con Giosuè Scannagatta come curatore, era in atto l’utilizzazione dell’Orto, mentre solo nel 1776 iniziò la costruzione delle grandi serre in legno su progetto di Giuseppe Piermarini in corrispondenza della attuali serre scopoliane..
Nel 1777, quando assunse la direzione Giovanni Antonio Scopoli (1777-1788), l’Orto Botanico aveva un assetto molto simile a quello attuale, soprattutto per gli edifici e la perimetrazione. Ciò è provato dalla nota stampa riportata sul prospetto di una delle opere maggiori dello Scopoli, Deliciae Florae et Faunae Insubricae del 1786, ora simbolo dell’orto pavese. Sotto la direzione di Scopoli, l’Orto Botanico raggiunse un assetto definitivo, comparabile per efficienza a quello di Orti Botanici ormai celebri, come quello di Padova, che inizialmente fornì gran parte delle piante. Scopoli stabilì corrispondenze con numerosi botanici europei quali Adanson, Allioni, Arduin, Banks, Gessner, Gleditsch, Gmelin, Haller, Jacquin, Linneo.
Il lavoro di organizzazione dell’Orto riprese sotto il prefetto Domenico Nocca (1797-1826), che si insediò nel 1797, lasciando la direzione dell’Orto Botanico di Mantova. Egli arricchì le collezioni con scambi di semi e di piante, e promosse il rifacimento delle già citate serre, dette di Scopoli, facendone ricostruire da Luigi Canonica le strutture lignee con le attuali in muratura. Aumentò inoltre le strutture per la coltura di piante mediante “pulvilli”, riparabili con vetri, esistenti ancora oggi. Al Nocca successe Giuseppe Moretti (1826-1853), a cui subentrò Santo Garovaglio (1853-1882) che, nel 1871, ottenne la costituzione del Laboratorio Crittogamico per lo studio delle malattie delle piante dovute a crittogame parassite.
Il periodo della scuola di Giovanni Briosi (1883-1919) segnò un ulteriore miglioramento dell’Orto Botanico, soprattutto per l’aggiunta di serre calde: due sul lato meridionale dell’Istituto, a diretto contatto con la costruzione, e una, a forma di cupola, sovrastante una grande vasca.
Dopo Luigi Montemartini (1920-1926) e Gino Pollacci (1927-1942), nel 1943 iospassunse la direzione dell’Orto Raffaele Ciferri (1943-1964) che, nell’immediato dopoguerra, si trovò a dover fronteggiare gravi perdite nelle collezioni e gravi danni nelle strutture dell’Istituto. Le scelte furono quindi dirette verso la massima economia possibile: furono rimosse le serre sul lato meridionale dell’edificio, che venne trasformato in facciata monumentale dell’Istituto, e si rimodellò l’impianto del giardino sull’esempio dei parchi delle classiche ville lombarde del XVII e XVIII secolo. Ciferri destinò la parte meridionale del giardino all’impianto di una notevole collezione di Rosa, tuttora grande pregio dell’Orto.
Alla morte di R. Ciferri, Ruggero Tomaselli (1964-1982), per carenza di fondi e di mano d’opera, semplificò l’organizzazione delle aiuole, estendendo la collezione di specie arboree di latifoglie. Incrementò la collezione di Cicadacee e di piante grasse anche mediante importazioni dirette dai luoghi di origine dove svolse campagne di ricerca. Inoltre curò la costruzione di una nuova serra tropicale.
Durante la successiva direzione di Augusto Pirola (1982-1996) furono introdotte nuove collezioni (Hydrangea,PelargoniumHosta) e fu modificata l’impostazione della collezione di rose. Dal 1997 l’Orto Botanico fa parte del Dipartimento di Ecologia del Territorio e degli Ambienti Terrestri, nel quale è confluito l’Istituto di Botanica. Dalla stessa data inizia la direzione di Alberto Balduzzi (1997-2002) durante la quale si sono gettate le basi di una collezione di piante officinali. Inoltre sono stati eseguiti importanti interventi di restauro manutentivo. L’attuale direttore è Francesco Sartori.

martedì 26 giugno 2012

Orto botanico

E’ probabile che fin dal 1520 esistesse un Orto con collezioni di Piante Officinali presso l’abitazione di Leonardo Leggi, lettore di “Medicina Pratica Ordinaria”, ma l’ubicazione di questo primo Orto rimane incerta, come pure è probabile che esso abbia cambiato sede più volte durante il lettorato dei Semplici nel quale si successero una trentina di lettori.
Nel 1763 diventa lettore Fulgenzio Vitman, cui si deve l’opera di sensibilizzazione e persuasione delle autorità competenti al fine di creare una struttura adeguata per l’insegnamento della Botanica.

E grazie all’operosità di Vitman finalmente nel 1773 prende corpo l’attuale Orto Botanico di via S.Epifanio, istituito con decreto del Plenipotenziario di Casa d’Austria a Milano, Conte Carlo Firmian. In pochi anni l’Orto viene sistemato e gli edifici dell’ex Convento Lateranense di S.Epifanio destinati all’Istituto di Botanica.

Nel 1776, essendo Direttore Valentino Brusati, vengono edificate anche le serre su progetto dell’architetto Giuseppe Piermarini, dapprima in legno, poi in muratura; ma il merito di una sistemazione completa va soprattutto ad Antonio Scopoli, che diresse l’Orto Botanico nel biennio 1777-1778 e che dell’Orto Botanico dell’Università di Pavia fu lo studioso più noto.
L’Orto Botanico subì nel corso degli anni numerose trasformazioni fino ad ampliarsi nel 1887, occupando gli attuali due ettari circa (comprese le superfici coperte dagli edifici e dalle serre).
Nel secondo dopoguerra venne radicalmente trasformata la facciata dell’Istituto, che fu liberata di una lunga serra che vi era addossata e venne arricchita con l’ampio scalone frontale abbracciante la fontana circolare, così da restituire unità architettonica alla facciata stessa.
Attualmente la direzione e la gestione dell’Orto sono unificate a quelle del Dipartimento di Ecologia del Territorio.
Un complesso lavoro di riorganizzazione iniziato qualche anno fa e ancora in corso tende a costituire cataloghi delle specie presenti. Pur lasciando spazi per l’incremento delle specie della Flora Lombarda e di quelle Esotiche necessarie per la didattica, l’orientamento prevalente prevede l’aumento e la nuova costituzione di collezioni monografiche, per generi o famiglie di particolare interesse scientifico-didattico e compatibili con le condizioni climatiche locali.






Museo della Tecnica Elettrica

Il Museo della Tecnica Elettrica ha l'obiettivo di presentare il patrimonio storico della tecnica elettrica ed il suo impatto su tutti gli aspetti della vita quotidiana.
Esso intende fare ciò in una dimensione internazionale, coprendo l'intero arco di tempo dalle origini ai giorni nostri.
Collocato a Pavia, esso rappresenta un omaggio permanente ad Alessandro Volta, inventore della pila elettrica e professore presso l'Università di Pavia.
Il Museo è stato istituito nel mese di marzo del 2000, grazie ad un accordo di programma tra Università di Pavia, Regione Lombardia, Provincia di Pavia ed il Comune di Pavia.
Il Museo è un'istituzione appartenente all'Universita' di Pavia, aperta al pubblico con finalità di formazione, ricerca, conservazione e divulgazione in modo stimolante ed informativo
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Museo di scienze naturali

Il Museo Pavese di Scienze Naturali fu fondato nel 1771 da Lazzaro Spallanzani, abate e naturalista che per trent'anni (1769-1799) profuse il suo talento di docente e ricercatore presso l'Università di Pavia.
Le prime raccolte, inviate da Vienna a Pavia per espressa volontà dell'Imperatrice Maria Teresa d'Austria, trovarono una provvisoria sistemazione presso il Collegio Ghislieri (1771). Per il veloce accrescersi delle collezioni acquisite o raccolte dallo stesso Spallanzani durante i suoi viaggi, il Museo, che contava già una sezione di Zoologia e una di Mineralogia, fu trasferito nel 1775 in alcune sale del Palazzo dell'Università dove i reperti vennero ordinati secondo la classificazione linneana. Nel 1780 il museo contava oltre 20.000 esemplari giunti a Pavia da ogni dove e destinati ad aumentare per l'incessante ricerca di materiale a scopo didattico.
Del periodo spallanzaniano si conservano tra gli altri: la collezione di vermi viscerali acquistata nel 1781 dal pastore Giovanni Goeze di Quedlimburgo; esemplari di rettili, anfibi e pesci della collezione Van Hoey del 1784; un enorme coccodrillo del Nilo regalato dal conte Giacomo Sannazzari nel 1782; un delfino del 1790 proveniente dai mari siciliani; un ippopotamo giunto da Mantova nel 1783; un urangutan del 1786.
"Oh quanto mi ha dato nel genio le novella da lei recatami dell'ourang-outan ch'Ella ha acquistato per Pavia! Nella nomenclatura delle simie, e nella storia di esse io voglio impegnare dalla cattedra sei in sette lezioni, ma non poteva su questo importante argomento fare ostensioni a miei scolari, per mancanza di esemplari, non avendo io che qualche piccola simmia delle più vulgari. Il rarissimo animale da Lei provveduto verrà molto al proposito, quando in avvenire dovrò parlare delle stesse materie, per essere l'orang-outang quell'anello che lega insieme gli animali con l'uomo. Questo sol pezzo vale per mille, e ai suoi lumi, al suo zelo pel Museo di Pavia si deve tutta l'obbligazione".
Così Spallanzani ringraziava Sperges per il prezioso dono.
Nel XIX secolo il numero sempre crescente di reperti consentì la separazione delle collezioni che diedero così origine a tre Musei autonomi: Anatomia-Comparata (1875), Geologia e Paleontologia (1887) e Zoologia, come supporto alla didattica degli Istituti omonimi. Sotto la Direzione di Pietro Pavesi (1876-1907) che fu anche Sindaco della città di Pavia, il Museo di Zoologia raggiunse il massimo splendore raccogliendo oltre 50.000 esemplari. Sono di questo periodo la famosa collezione di Issel di conchiglie terrestri e molti mammiferi tra cui un gorilla, un orango, due gibboni, lemuridi, un elefante africano e la splendida collezione di aracnidi del Pavesi stesso.
Con il trasferimento degli Istituti di Anatomia Comparata (1903) e di Zoologia (1935) anche i Musei annessi trovarono una nuova collocazione a Palazzo Botta.
Tra il 1956 e il 1961, le raccolte dei tre Musei furono trasportate presso il Castello Visconteo allo scopo di renderle ostensibili al pubblico sulla base di una convenzione tra Università, Comune e Provincia che prevedeva l'allestimento di un Museo Civico di Storia Naturale.
Purtroppo le collezioni rimasero abbandonate a se stesse per oltre trent'anni, fino alla costituzione del Centro Interdipartimentale di Servizi "Musei Universitari" (1989) che, con la collaborazione del Comune e della Provincia di Pavia, ha avviato dal 1995 il restauro delle collezioni, permettendo, negli ultimi tre anni, la fruibilità di alcuni reperti in tre mostre: "Immagini dell'Ornitologia nell'800 a Pavia" nel 1996, "Pesci di ieri e di oggi" nel 1997 e "Artigli e zanne: grandi e piccoli predatori" nel 1998, organizzate in occasione della settimana della cultura scientifica e tecnologica promossa dal M.U.R.S.T.
Il recupero e la tutela delle collezioni museali nell'interesse di ricercatori e studenti, ma anche del pubblico in genere, mira alla conservazione di un inestimabile patrimonio storico-scienti-fico e al consolidamento della collaborazione tra Università e Enti pubblici nell'intento di consentire la fruibilità permanente dei reperti mediante l'allestimento di un Museo di Storia Naturale.






Museo Universitario

L’idea di un Museo universitario a carattere storico-medico nasce con le riforme teresiano-giuseppine. Nella seconda metà del Settecento il clima riformistico dell’Illuminismo coinvolge anche l’università di Pavia, sino allora appendice quasi dimenticata dell’impero. L’Imperatrice Maria Teresa d’Austria e il suo erede Giuseppe II, monarchi illuminati, si occuperanno della rinascita e del rifiorire dell’antica Università promuovendo riforme di carattere didattico, scientifico, nonché un rinnovamento edilizio. Dopo diversi tentativi, verranno approvati dal Magistrato Generale degli Studi il Piano Didattico del 1771 e il Piano Scientifico del 1773 che intendevano disciplinare l’accesso degli studenti alle facoltà, la chiamata dei professori, i migliori, per fama e valore scientifico, e erano volti ad eliminare gli insegnamenti superflui a favore di una didattica moderna, d’impronta sperimentale (1) . Sorsero, a questo scopo, le nuove strutture della biblioteca, del teatro anatomico, del Museo di storia naturale, del laboratorio di chimica e dei diversi gabinetti per l’insegnamento, dell’orto botanico, del gabinetto di fisica sperimentale e di anatomia. L’attuale allestimento della struttura museale, invece, che occupa quella che fu la sede della Facoltà di Medicina, adiacente all’antico Teatro anatomico intitolato ad Antonio Scarpa, risale agli anni trenta. Il Museo fu infatti creato nel 1932 per accogliere il materiale esposto nella mostra di cimeli allestita a Palazzo Botta in occasione del primo centenario della morte di Scarpa, fondatore della Scuola Anatomica pavese. La mostra, organizzata da Antonio Pensa, Presidente del IV Convegno della Società Italiana di Anatomia e titolare della cattedra di Anatomia Umana Normale, ottenne un grande successo di pubblico e di studio da parte di storici delle scienze mediche e naturali. Gli oggetti esposti per l’occasione comprendevano gli scritti autografi, le opere a stampa, le preparazioni anatomiche dello stesso Scarpa (2) e degli altri anatomici Rezia ePanizza, conservate nel Museo Anatomico. Il Gabinetto Anatomico, creato ed arricchito da Scarpa e dai suoi successori, fu sede dell’Istituto di Anatomia per circa un secolo, fino a quando quest’ultimo si trasferì a Palazzo Botta nel 1902 e i locali del gabinetto diventarono la sede dell’Istituto di Anatomia Patologica. Dopo l’esposizione del 1932, l’Istituto di Anatomia Patologica si trasferì nella nuova sede in via Forlanini e nei locali appena liberati nel palazzo universitario venne alloggiato il materiale anatomico, primo nucleo delle attuali collezioni museali. In quell’anno, inoltre, affluirono al nascente Museo numerosi oggetti storici che erano stati restituiti all’Università dopo l’Esposizione di Storia della Scienza a Firenze, tra i quali diversi strumenti del Gabinetto di Fisica di A. Volta, e le preparazioni riguardanti patologie vascolari e osteo-articolari conservate nell’ex Museo Porta, situato nei locali della Clinica Chirurgica del vecchio Ospedale S. Matteo fino al trasferimento di quest’ultima nella nuova sede al Policlinico. Il Museo attuale venne dunque inaugurato ufficialmente nel 1936 e fu ampliato nel corso degli anni grazie ad oggetti provenienti dagli istituti universitari, dai musei preesistenti (3) , o donati da privati; va ricordata, tra le altre, la donazione fatta dagli eredi di Golgi di oggetti appartenutigli, di manoscritti, di appunti per le lezioni, di decorazioni accademiche italiane e straniere, del suo carteggio ordinato dal suo allievo Veratti e soprattutto dell’attestato originale del Premio Nobelassegnatogli nel 1906. Durante la guerra il Museo rimase chiuso ed il suo contenuto trasferito in un luogo sicuro, mentre nell’immediato dopoguerra, grazie al contributo del rettore Fraccaro, il Museo accrebbe le sue collezioni, con l’acquisto di cimeli, il ritrovamento di oggetti e documenti, e donazioni di grande valore. In seguito, come ai tempi del suo fondatore, venne ripristinata la comunicazione con il portico e il cortile che danno accesso all’Aula Scarpa , e al Museo fu annesso un ampio locale che avrebbe poi accolto gli strumenti di Fisica, acquistati o fatti costruire da Volta e dai suoi successori, Configliachi, Belli, Cantoni. Oltre a preparati anatomici, strumenti di fisica e chirurgici, documenti relativi alla storia dell’ateneo e cimeli, il Museo possiede molto materiale che, anche per esigenze di spazio, non può essere normalmente esposto al pubblico, ma viene presentato con un certo avvicendamento o su richiesta. Parecchi documenti e scritti autografi sono raccolti in cartelle ed elencati in maniera da essere facilmente rintracciabili, come, ad esempio, gli autografi di Volta, Foscolo, Monti, SpallanzaniMoscatiGolgiOehl, del cui trattato il Museo possiede tutto il manoscritto, ma del quale è esposta la sola prefazione. In cartelle sono conservati anche gli autografi di Valentino Brugnatelli, Romagnosi, Adelaide Cairoli e di molti altri personaggi. Dei numerosi volumi nei quali sono raccolte le storie cliniche ed i protocolli delle esperienze diLuigi Porta, sono esposti solo pochi esemplari, mentre gli altri sono custoditi in armadi contenenti anche altri libri di carattere storico e scientifico di notevole importanza.





venerdì 22 giugno 2012

vivimusei


Il museo è una raccolta, pubblica o privata, di oggetti relativi ad uno o più settori della cultura (tra cui in particolare, per tradizione, l'arte), della scienza e della tecnica. Lo statuto dell'International Council of Museums lo definisce un'istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell'umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazionee diletto.
Con riferimento all'Italia e limitatamente ad uno dei numerosi ambiti cui il museo può riferirsi, l'articolo 101 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di "Codice dei beni culturali e del paesaggio", lo definisce come «struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio».